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CHI SONO IO PER GIUDICARE?

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Lc 18, 9-14

La parabola del fariseo e del pubblicano risveglia spesso in non pochi cristiani un rifiuto grande nei confronti del fariseo che si presenta davanti a Dio con arroganza e sicuro di sé, e una simpatia spontanea verso il pubblicano che riconosce umilmente il suo peccato. Paradossalmente il racconto può suscitare in noi questo sentimento: «Ti ringrazio, Dio mio, perché non sono come questo fariseo».

Per ascoltare correttamente il messaggio della parabola, dobbiamo tener conto del fatto che Gesù non la racconta per criticare i settori farisei, ma per scuotere la coscienza di «alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri». Tra questi ci siamo, certamente, non pochi di noi, cattolici dei nostri giorni.

La preghiera del fariseo ci rivela il suo atteggiamento interiore: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini». Che razza di preghiera è questa di credersi migliore degli altri? Persino un fariseo, fedele osservante della Legge, può vivere con un atteggiamento pervertito. Quest'uomo si sente giusto davanti a Dio e proprio per questo, diventa giudice che disprezza e condanna quelli che non sono come lui.

Il pubblicano, al contrario, solo riesce a dire: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore». Quest'uomo riconosce umilmente il suo peccato. Non si può gloriare della sua vita. Si raccomanda alla compassione di Dio. Non si paragona con nessuno. Non giudica gli altri. Vive in verità davanti a se stesso e davanti a Dio.

La parabola è una penetrante critica che smaschera un atteggiamento religioso ingannevole, che non permette di vivere davanti a Dio sicuri della nostra innocenza, mentre condanniamo a partire dalla nostra supposta superiorità morale quanti non pensano o agiscono come noi.

Circostanze storiche e correnti trionfaliste lontane dall'Evangelo, hanno fatto noi cattolici particolarmente proclivi a questa tentazione. Per questo dobbiamo leggere la parabola ciascuno in atteggiamento di autocritica. Perché ci crediamo migliori degli agnostici? Perché ci sentiamo più vicini a Dio dei non praticanti? Cosa c'è nel fondo di certe preghiere per la conversione dei peccatori? Cos'è riparare i peccati degli altri senza vivere convertendoci a Dio?

Recentemente, di fronte alla domanda di un giornalista, Papa Francesco ha fatto quest'affermazione: «Chi sono io per giudicare un gay?». Le sue parole hanno sorpreso quasi tutti. Sembrerebbe che nessuno si aspettasse una risposta tanto semplice ed evangelica da un Papa cattolico. E tuttavia, questo è l'atteggiamento di chi vive in verità davanti a Dio.

 

José Antonio Pagola

Traduzzione: Mercedes Cerezo

Publicado en www.gruposdejesus.com

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